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E incontanente in una volontade (1) in prima le navi, ov' erano venuti, arsero, acciocchè non avessero speranza di tornare indietro. E poscia guastando e abbattendo in tutte le luogora, ove andavano, tutte le case e le ville e le castella ardendo, uno ch' avea nome Annone con XXX. migliaia di quegli di CarLagine gli si fece incontro, il quale (2) uccise con domila (3) de' suoi, ed egli due solamente de' suoi perdeo. Per la quale battaglia isbigottiti gli animi di quegli di Cartagine maravigliosamente, e l'animo de' suoi molto cresciuto, vinse molte castella e cittadi, e maravigliose prede fece, ed uccise molta gente de' nemici, e puose il campo della sua oste V. miglia presso a Cartagine, sì che dalle mura della cittade chiaramente si potea vedere il danno delle grandissime ricchezze e 'l guasto de' canipi e l'incendio delle case. E a' detti mali s' aggiunse più trista nominanza. Perchè si dicea che il re (4) loro in Cicilia era isconfitto, il quale Antandro suo fratello (5) avea vinto, assalendolo di sicuro, ed egli nighittoso non facea buona guardia. (6) Sparta la detta novella per tutta Affrica, non solamente le cittadi, che le reddiano (7) tributo, ma i re compagni (8) le vennero meno: (9) intra i quali il re de' Cireni chiamato Ofella fece patto con Agatocle di fare con lui comunale battaglia, abbiendo della segnoria d' Affrica grandissima volontade. Ma, poscia che fue l'una e l'altra oste insieme raunata, per lusinghe e tradimento d' Agatocle fue morto; e i Cartaginesi, raunata oste d'ogne parte, di combattere fuoro disiderosi, i quali assallo Agatocle abbiendo seco l'oste di Ofella, e coloro soperchiò e vinse con grave battaglia e con ispargimento di molto sangue di catuna delle dette osti. Per lo pericolo di questa battaglia in tanta disperazione quegli di Cartagine vennero, che se nell' oste di Agatocle non fosse nata discordia, si sarebbe Bomilcare re (10) de' Cartaginesi arredduto (11) a lui coll' oste sua. Ma per la detta discordia venuto coll'oste Agatocle alle mani de' Cartaginesi, in miluogo (12) del mercato fue posto nella croce, e da' suoi fue crudelmente sguardato. (13)

(4) Unanimemente. (2) Qui è caso accus. il quale Annone Agatocle uccise. (3) Dumila. (4) Il duce loro, cioè de' Cartaginesi. (5) Fratello d'Agatocle. (6) Il testo: quem revera incautum ac pene otiosum oppresserat. (7) Reddeano, rendeano, da reddere. (8) Socii reges. (9) Si ribellarono. (10) Duce. (11) Come si disse reddere per rendere, così arreddere per arrendere. (12) Mezzo, quasi nel mezzo del luogo. (13) Il testo: crudele spectaculum suis praebuit.

Ma morto Agatocle, facendo grande oste per mare i Cartaginesi, e guastando Cicilia, da Pirro re d' Epiro, il quale da Italia quegli di Cicilia aveano chiamato e fatto signore, in battaglia di terra e di mare ispesso vinti, al dassezzo si convertiro alle battaglie di Roma. Deh che dolore è ad udire! leggono queste cose coloro, che de' fatti d' ora si lamentano? Per lo fermo (1) le leggono e sanno, ma assimigliandole con queste, per ragione nolle (2) giudicano, ma per invidia. E di quello malvagio stimolo dell' invidia sono compunti, che vedere la verità non lascia; perchè, non perchè questi tempi siano peggiori, ma perchè sono i tempi de' Cristiani, peggiori gli fanno, e giudicamento fanno per la fedita dell' invidia, facendoli peggiori che neuno altro crudele tempo: come tra noi possiamo spesse volte vedere del nemico, cui abbiamo in invidia, che ciò che dirà o farà, parrà che nocivo ci sia. Intanto torce l' invidia il cuore, quando ella il comprende, (3) che quello, ch'è diritto per natura non vede, ma giudicalo non diritto: del numero de' quali sono questi, ma sono molto più miseri, perchè sono nemici di Dio, e però nemici della veritade; de' quali queste cose diciamo piagnendo, e i quali misericordievolemente, se piace loro, riprendiamo, acciò che sanare gli possiamo, che con occhio viziato queste cose veggono, e però paiono loro doppie le cose che veggono, e giudicanle confusi della caligine dell' invidia, che meno veggendo più veggano, più veggano, conciossiacosachè quello che com' egli è non possano vedere, i quali pensano che sieno più gravi le battiture del padre che gl' incendi de' nemici, e chiamano più acerbo Iddio lusingando e ammonendo e redimendo, (4) che 'l diavolo che perseguita e uccide. Avvegnachè, se sentissero che fosse il padre, del gastigamento sarebbero allegri, e se si provvedesse (5) il frutto del gastigamento, patirebbesi il gastigamento, e per la speranza ch'è ora data alle genti, ed in prima non era, più leggieri parrebbero, (6) pognamo che più fossero gravi state avvegnachè avere le miserie in dispregio e per nulla possano da' suoi (7) apparare, appo i quali i gravi mali per sofferenza beni pensaro che fossero, (8) acciocchè accattassero onore e gloria grande e da farne

(1) Per certo. (2) Non le. (3) L'ocenpa. (4) Cioè lusingante, ammonente ec. (5) Prevedesse. (6) Cioè quei gastighi, o battiture. Il testo: leviora ducerent, et si graviora, paterentur. (7) Cioè i pagani. (8) Il testo: apud quos summa mala pro summis bonis aestimata sunt.

T. III.

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memoria: per li quali possiamo cogliere (1) quante cose a noi siano da sofferire, a' quali l' eternale beatitudine si promette; eonciossiacosachè quegli tante cose pottero (2) sostenere per la fama che per innanzi (3) fosse di loro.

(1) Conchiudere, inferire. Il testo: per quos colligi datur. (2) Pote

rono (3) Per l'avvenire.

VOLGARIZZAMENTO

DELL'ARTE DELLA GUERRA

DI FLAVIO VEGEZIO

Flavio

lavio Vegezio Renato, o Costantinopolitano o Romano di nascita, fioriva verso la fine del IV. secolo sotto Valenti niano II. a cui dedicò il suo Trattato che ha per titolo De re militari. È questo, come dice egli stesso, un sunto di quanto avea trovato di più importante intorno alla disciplina de' Romani negli scritti di Catone il Censore, di Cornelio Celso, di Frontino e di Paterno, non che nelle Ordinanze d' Augusto, di Trajano e d' Adriano, e ne formò una specie di storia militare con la mira di dare un nuovo lustro alle virtù guerriere. E partito in cinque libri, il primo de' quali ammaestra dell' elezioni de' giovani combattitori, di che luogo si debbano eleggere, e quali sono quelli che si debbono approvare, e di che prove d'arme si debbono ammaestrare. Il secondo pone il costume dell' antica cavalleria, e come l'oste de' pedoni si debba ammaestrare. Il terzo apre ogni generazione d' arti, che abbisogna alla battaglia, che in terra si fa. Il quarto insegna ogni generazione d'edificio e d' ingegno, per la quale cittade o castello si combatte e si difende; e poi dice appresso gli ammaestramenti delle battaglie del mare. Il quinto mostra che in ogni battaglia non tanto dà vittoria moltitudine o forza di gente non bene ammaestrata, quanto l'arte e l'uso di far battaglie.

LIBRO PRIMO

CAP. II.

Di che regione del mondo si debbia il cavaliere eleggere.

pro

L'ordine verace desidera che prima si mostri di che vincie e nazioni il cavaliere eleggere si debbia. Manifesta cosa

è che per tutte le luogora (1) del mondo nascono uomini savi e matti. Non impertanto gente a gente va innanzi (2) per battaglia; e la regione del cielo non solamente alla forza del corpo, ma a quella dell' animo molto vale. Le quali luogora dirò, secondo che da' savi sono approvate. Tutte le nazioni, che più s'approssimano al cielo, per troppo caldo disseccate, dicesi che sono più savie, ma hanno meno di sangue, e però non hanno fermezza, nè fidanza di combattere d' appresso, perchè le fedite temono, e conoscono che del sangue hanno poco; e per contradio quelli della parte di settentrione, che sono popoli più dal sole rimossi (3), meno hanno di senno, ma abbondano in molto sangue: però sono prontissimi alle battaglie. Sono dunque da eleggere cavalieri di regione, dove l'aria sia temperata, i quali abbondano convenevolmente nel sangue, e la morte e le fedite hanno a dispetto, (4) ed al savere non vengono meno, il quale nell' oste molto vale, e nelle battaglie non è di piccola utilitade il savio consiglio.

CAP. III.

Onde sia più utile i cavalieri trarre, o della cittade, o della villa.

cura,

Seguitasi che veggiamo onde è più utile il cavaliere trarre, della città o della villa. Della qual cosa non credo che si possa dubitare che all' arme più acconcio non sia il popolo, che dimora nella villa, il quale è sotto pura aria, ed a grandissime fatiche si nutrica, e tiene al sole la faccia, e dell' ombra non e bagno non conosce, nè le morbidezze del mondo, ed è d'animo semplice e di vile cibo contento, e ad ogni fatica sostenere ha indurate le membra, il quale fare fosse e portare ferro ed incarico (5) dalla villa ha per uso. Ma interviene molte volte che per necessitade fa bisogno di costringere il cittadino che porti arme, il quale, se cavaliero sì fa, usi in prima il lavorare, correre, portare pesi, e sostenere la polvere ed il sole, e poco cibo e da villani usi, e talotta all'aria o sotto i padiglioni stea; (6) e allotta (7) dell' uso dell' arme s' ammaestri. E se ha più spazio d' imparare, sotto le fatiche è da tenere e di lungi dalle morbidezze delle cittadi, acciocchè nel detto

(1) Luoghi. (2) È superiore. (3) Remoti. (4) A dispregio. (5) Peso. (6) Stia. (7) Allora.

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