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lieve, come potrebbe credersi a prima giunta: solo chi abbia talvolta messo mano a simiglianti lavori può immaginare che dura pazienza e fatica mi sieno costati i lunghi esami e i confronti de' Codici e de' testi latini per ridurre quelle scritture ad una lezione più che si potesse corretta. Non parlo della grossolana ignoranza de' copiatori de' Codici, nè della temerità colla quale han guastato e sconvolto a loro senno i dettati de' nostri Vecchi, (1) per cui non è a dire di quanta diligenza e cautela, di quante mature considerazioni m' è convenuto usare anche per questa parte, per non mettere il piede in fallo, affinchè non me ne richiamasse poi la coscien za. Perchè, se in condurre un lavoro così laborioso e scabroso, avrò io fatto cosa, per la quale possa essere derivato alle nostre lettere qualche vantaggio, memoria gioconda me ne riverrà alla mente; e se talvolta sarò venuto meno sotto il peso, di che mi son gravato le spalle, spero che i discreti ed i savi non vorranno sdegnarsi unicamente con me, nè addosso a me solo rovesciarne tutta la colpa. Ma, rompendomi le parole in bocca, dirà alcuno sia pure la cosa così come tu affermi, ma nel tuo Manuale non sono forse altri difetti, che tu avresti potuto evitare? Sì, e non pochi; e questo

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(1) Odasi come contra costoro gridava acceso di tutto sdegno il Petrarca. « Chi potrà recare un efficace rimedio alla ignoranza ed alla codardia di costoro, che ogni cosa guasta e sconvolge? Per timore di essa molti egregi ingegni si tennero lontani dal dare alla luce opere immortali.... quindi chiunque sa in qualche modo miniare le pergamene e maneggiare la penna, benchè sia interamente sfornito di dottrina, d'arte e d'ingegno, vien reputato scrittore. Non parlo ora nè fo querela dell'or tografia, che già da lungo tempo è perduta. E volesse il cielo che eglino in qualunque modo scrivessero ciò che lor si dà a copiare: si vedrebbe l'ignoranza dello scrittore, ma si avrebbe almeno la sostanza de' libri. Essi al contrario, confondendo insieme gli originali e le copie, dopo aver promesso di scrivere una cosa, ne scrivono una tutta diversa, per modo che tu stesso non conosci più ciò che hai dettato. E credi tu che se risorgessero ora Cicerone e Livio, e molti altri antichi egregi scrittori, e singolarmente Plinio Secondo, e si facessero a leggere i loro libri, gl' intenderebbero? e che anzi, esitando a ogni passo, or li credebbero opera altrui, or dettatura di barbari? »

mi so bene io medesimo senza che altri me 'l dica, nè vo mendicando scusa al peccato: (1) non posso però tacere che non avrei forse così spesso inciampato, se la mala ventura non mi fosse venuta incontro ad attraversarmi il passo più d'una volta. Io non credo che si possa dubitar da nessuno che Opere di tal sorta che trattano di cose antiche ed oscure, non sieno accompagnate da parecchie difficoltà, e che non richiedano molti aiuti le quali cose non mi furon nascoste fino dal bel principio ch' io mi feci ad ordinare il mio libro, ed avvisai fin d'allora ai mezzi di poter riuscire a qualche buon fine. Ma i miei disegni sono andati in parte falliti, nè alla mia aspettazione han risposto i soccorsi da me invocati; per la qual cosa se sono rimasto talora ́smarrito nel pelago, nel quale oramai m' era messo, non è da fare le maraviglie. Trista veramente e dolorosa condizione, (sia detto qui per disacerbare alquanto il mio duolo) logorar la vita sopra le carte, esser volonteroso di cooperare, per quanto uno può, all' incremento delle lettere, (2) e vedersi poi spesso, sia destino, o altro che dir non saprei, ributtato superbamente (3), o per

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(1) Per questo ho in animo, se meno avverse mi gireranno le cose della fortuna, di riordinare il mio Manuale, e di provvedere, meglio che per me si potrà, a que' difetti, che per entro vi sono sparsi. (2) E di questo si rodono e si consumano fra se stessi taluni che, non entrati per la porta, ma saltati per la finestra nelle aule Accademiche, rebbero la scienza per loro patrimonio esclusivo, (ma il male è che non si compra!) e per se soli tutti gli onori, tonando ex cathedra che nou si dee correre a dispensare ad altri i titoli loro, affinchè non scemin di pregio, e non calin di peso. E giusta: il vino, più che s'annacqua, più perde della sua forza; ed il prosciutto, affetta, affetta, si riduce in fine ad un osso. Miserabili, che gonfi e invaniti per la onorifica gualdrappa, credono d'aver cambiata la vecchia pelle, e che i titoli dieno il merito e la virtù! (3) Io non ricordo senza dolore, o meglio dirò senza fremito, l' inurbanità di un tale che, pregato di lasciarmi consultare per poche ore un suo Codice, perch' io potessi ammendare il testo d'un antico scrittore, mi lanciò sul viso un NO tanto fatto, e uditene di grazia il perchè e ridete: no; si dee vender la Libreria e non voglio fare un torto a chi sarà per comprarla. Giudichi altri per me se in questa risposta v' ha un solo grano di senso comune. E questi sono i filantropi d'oggidì!! E notate che quella Libreria m'era prima aperta ad ogni mia inchiesta dal gentile Signore, di per me sempre acerba e cara memoria, al quale apparteneva.

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malignità impedito per la sua via. (1) Ma così è: noi spalanchiamo le porte dei santuari della Sapienza, e siamo larghi d'ogni cortesia e d'ogni aiuto agli estrani, i quali ci rapiscono le nostre più belle spoglie, e non solo non ce ne sanno poi nessun grado, ma di più ci pagano di dispregio, e ci cuoprono d'ogni maniera di derisione; e se alcuno di noi abbisogna .... ma

Più è il tacer, che 'l ragionare, onesto. (2)

(4) Narrerò ancora questa, che certuni, secondo il dire di Orazio, fruges consumere nati, de' quali non s'è veduto finora che l'estremità delle orecchie, e che sono come il cane dell' ortolano, che non mangia la lattuga, e non la lascia mangiare agli altri, han fatto ogni sforzo per chiudermi la via, che mi si voleva aprire dai buoni, di attendere a più riposati studi, cuoprendo sotto il velo di santo zelo la viltà dell' animo loro. Dirò per ora a questi cotali che so meglio di essi ciò ch' io debbo a Dio, al mio Principe, ed al mio prossimo; che dal tetto in sụ non si sta poi così male, com' essi van mormorando, e che non temo il loro paragone in fatto di buon cristiano e di buon cittadino.

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E se non fosse che ancor lo mi vieta

la Carità, che per essi è roba affatto straniera,

I'userei parole ancor più gravi.

se

Questi fatti e altri ne taccio) ho voluto notare perchè non si creda, mi dolgo della tristizia e de' tratti scortesi che mi sono stati usati, ch' io spacci menzogne.

(2) Dante Farad. C. XVII.

SCRITTORI DEL SECOLO XIII.

PROSATORI

Nel

el tempo, dice il Parini, che parlavasi comunemente in Italia la nuova lingua, sebbene la Latina non fosse più volgarmente nelle bocche del popolo, era essa nondimeno la lingua nobile, della quale servivansi le persone letterate, e quella che nelle pubbliche concioni, nelle prediche, e nelle scritture usavasi tuttavia, contuttochè il Latino d' allora, anzichè risvegliarne oggi idea veruna di nobiltà, di eleganza, e di buon gusto, soglia piuttosto muoverci a riso. Non osarono pertanto quei primi Scrittori servirsi del loro volgare per trattare o scrivere le cose credute più gravi, e importanti, figurandosi eglino che la lingua del popolo non fosse proporzionata alla severità di certi argomenti; ma si applicarono a scrivere in essa cose piacevoli, e degne della popolare curiosità, e poesie massimamente, e queste d' ordinario amorose, come soggetti, che sono più d'ogni altro alla portata comune e i quali ci era più interesse di trattare in una lingua piana, e intelligibile alle, giovani persone. Di poi, veggendosi che tali cose, in tale lingua scritte, piacevano, sia per la novità, sia per le cose stesvi si arrischiò qualche cosa di più, e cominciarono a scrivere nella volgar lingua le Cronache, cioè le semplici ed estese narrazioni de' fatti successi nella loro patria. I Cherici anch' essi si avvidero che meglio sarebbero stati intesi da' laici ed idioti, se nel loro volgare avessero loro parlato dal pulpito; e così col proceder del tempo si diedero a farlo essi pure. Questi esempi furono di stimolo ad altri, perchè stendessero nella volgar lingua, e da altre vi traducessero, non già trattati di Divinità, ed altre scienze elevate, ma cose pertinenti massimamente a comodo e ad ammaestramento delle persone illiterate.(1) Fra gli Scrittori di Cronache ci si presenta il primo

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(4) Progr. della lingua Ital. Parte II. Cap. IV.

T. III.

1

MATTEO SPINELLO

Matteo Spinello fu di Giovenazzo, Castello del Regno di Napoli nella Provincia di Bari. Egli non tenne in patria un posto volgare, attestandoci egli medesimo che fu più d'una volta Sindico e Legato de' suoi concittadini presso i Re Manfredi e Carlo I. in servigio de' quali seguitò le milizie: e nell' anno 1253 scrive ch'egli partì per Napoli per visitare il Pontefice Innocenzio IV. e la Curia Romana, e che aveva allora 23 anni. Si vuole da alcuni ch' egli morisse nella famosa battaglia tra Carlo I. e Corradino; ma di ciò non abbiamo alcun sodo fon. damento di storia.

Matteo scrisse una Storia intitolata i Diurnali, ossia Giornali, (1) nella quale narra i fatti accaduti nel Regno di Napoli dal 1247., quando l'autore era in età di anni 17., fino al 1268: Storia preziosa, per essere la prima Cronaca Italiana. Che questi Diurnali sieno stati distesi ne' tempi medesimi, ne' quali succedevano ordinariamente le cose narrate, pare che si possa raccogliere dal loro contesto: v' ha però qualche luogo che fa argomentare essersi scritto dall' autore qualche tempo dopo che la cosa ivi narrata accadde. Essi sono stimati uno de' più pregevoli documenti di Storie avvenute in quei tempi, e comunemente approvati per molto veridici; e perciò con ragione, non senza lode del loro autore, si sono di essi giovati alcuni Storici così Napolitani, come di altre Nazioni. Angiolo di Costanzo nel proemio della sua Opera delle Storie di Napoli dice: in volermi porre a scrivere mi vennero in mano gli unnotamenti di Matteo di Giovenazzo, che scrisse del tempo dalla morte di Federigo II. fino ai tempi di Carlo II. Lodovico Paglia nelle Storie di Giovenazzo: tutto ciò riferisce ne' suoi Giornali Mess. Matteo Spinelli nostro cittadino. Di questo scrittore ci avvaleremo di qui avanti, raccontando veridicamente i successi occorsi a suo tempo, in molti dei quali egli è testimonio di vista, essendo stato, conforme ap. pare da' suoi scritti, persona assai curiosa, ed avendo seguite le milizie in servigio del Re Manfredi e poi di Carlo I. (2) Finalmente Antonio Summonti afferma che realmente con fedeltà da costui (cioè da Matteo ) le cose di quei tempi in

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(4) Furono tradotti in Latino dal Papebrochio. (2) Lib. II.

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