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CAPO X

PROBLEMA DA ESAMINARSI• CONCLUSIONE

554. Dopo tutto ciò che si espose da noi nella presente Dissertazione sorge naturalmente la curiosità di esaminare da quale spirito sian mossi quegli avversari, coi quali abbiam combattuto finora. Son essi cattolici, oppur nol sono? Parlan essi e scrivono per vera persuasione, ovvero per altri fini, e tutti umani? lo non lo sò, nè mi cale saperlo molto meno altresì tocca a me o ai privati teologi il deciderlo. Nel cuor dell'uomo, Cicerone diceva, tante sunt latebrae, atque recessus, che fia impossibile penetrarne tutti i secreti, e l'infallibil giudizio di questi all'infinita sapienza di Dio si riserva. Dei nostri deboli lumi, delle nostre congetture, de' nostri raziocini, per quanto evidenti ci sembrino dobbiam sempre temer d'ingannarci quando trattasi di decidere sulle intenzioni secrete dell' uomo. Premessa dunque questa sincera protesta, non è poi disdetto a veruno ragionare argomentando sopra i fatti che all' esterno si veggono. Non è temerario formar sopra questi le sue congetture, nè si fa ingiuria a veruno quando in general si discorre, e sempre dalla personalità si prescinde, e non si tirano applicazioni individuali. In somma si parli delle cose in se stesse, e si prescinda dalle persone.

555. Quali sian le ragioni, sulle quali i nostri avversari fondano le loro dottrine contro la divina e sovrana potestà dell' Episcopato, e massimante del primato di autorità in S. Pietro, nei successori di lui, l'abbiamo esposto in tutta questa Dissertazione. Diranno forse che non tutte noi l' esponemmo. Ciò esser vero io rispondo. Ma sono pubblici i loro libri e possono consultarsi da tutti. Son sicurissimo che ogni non parziale e intendente lettore tutte le troverà della medesima debolezza che le esposte da noi. Neppur da noi a difendere l' Episcopato si apportarono tutte le ragioni, e assai ne restano al compimento. Sicchè in ciò siamo almeno del pari, nè uno può piatire coll' altro.

556. Le nostre ragioni di nuovo or si confrontino con quelle degli avversari. E chi non vede dalla parte avversaria la debolezza grandissima, e dalla nostra una forza insuperabile di ragione! Io qui non altro rammenterò che la copia grande di monumenti e abbondantissima, e di testimoni, i quali tutti depongono a favore di nostra causa. Quando l' Apostolo S. Tommaso dubitò della risurrezione del Salvatore attestatagli dai dieci colleghi suoi nell'apostolato, peccò certamente contro la fede, e fu ripreso di questo dal divino maestro. Noli esse incredulus, sed fidelis. (loann. XX. 27.) Quanti sono i testimoni che depongono per la sovrana potestà dei successori di S. Pietro nel governo universal della Chiesa? Sono non dieci soli, ma cento, e mille, che formano una catena di tradizione dal primò secolo del cristianesimo fino al

nostro. Contro una tradizione così costante, così numerosa e universale sopra di un punto di verità inchiusa nell' articolo del simbolo ; credo unam sanctam ecclesiam catholicam, contro una tal tradizione, dico, combattere, non sarà egli un peccare contro la fede?

557. Si vorrà dir finalmente che già non si impugna il pontificio primato in se stesso, ma solamente le usurpazioni della corte romana a gran pregiudizio dei diritti originari dei vescovi, e della potestà del principato civile. Dunque odio non è del pontificato romano che muove i nostri avversari, ma zelo per l'autorità de vescovi, per i diritti dei principi, e de' magistrati civili, per la riforma della disciplina corrotta, e per la purità della dottrina.

558. Incominciamo ad esaminare lo zelo per i diritti del secolar principato. E per verità non mai persuader mi ha potuto la sincerità di cotesto vantato zelo. Io veggo nei libri degli avversari del pontificio primato, spargersi massime tendenti a distruggere qualunque legittima autorità di questo mondo. Si prende apertamente e direttamente di mira l'ecclesiastica potestà: questa poi si combatte con quei mezzi ch'è ovvio e facilissimo a rivolgerli contro la potestà secolare. Lo spirito d' indipendenza e di libertà d'ogni freno nemico traspira troppo da tutti i libri degli avversari. E a parlare con sincerità cristiana, niente meno si mira che a scuotere il giogo incomodo di qualunque autorità sopra gli uomini.

559. É impossibile poi che persone le quali si

quod pepigit cum paSignore è che la sua dall' episcopato, non

spacciano cristiane e cattoliche non veggano che con le usurpazioni da lor permesse all' impero sopra i diritti del sacerdozio, armano la destra onnipotente di Dio di flagelli tremendi, e ne attirano l'ira sopra i regni e i regnanti a distruzione degli uni e degli altri. Eccovi il bel servizio che prestano al principato secolare cotesti zelanti. Che se veramente son cristiani, e credono nelle divine scritture, debbono pur vedere nella divina rivelazione l'esito infelicissimo da Dio minacciato agli usurpatori del regno suo, ed ai perturbatori della sua Chiesa: Dicent omnes gentes: quare Dominus ne fecit terrae huic? Quae est haec ira furoris ejus immensa ? Et respondebunt : quia dereliquerut pactum Domini tribus eorum: E il patto del Chiesa sia diretta e governata dal principato civile. (Deuter. XXIX. 24. segg.) Notissimo è il fatto di Oza, che volendo stender la mano a sostener l'arca che di cader minacciava, fu nel momento colpito di morte. E così pure Ozia il Re perchè si attentò d'invadere l'offizio sacerdotale fu ricoperto di schifosissima lebra. Così pretendono certi zelanti che il secolar principato stenda le mani a depurar la dottrina pretesa corrotta, e a riformare la disciplina decaduta dell' arca mistica. Sentasi ora come S. Giovanni Grisostomo discorra sul fatto di Oza. Oza quoniam mortuus est eo quod ministerium ipsi non congruens usurpavit. Ergo ne... Solus arcae ruiturae contactus ad tantam indignationem Deum provocavit, ut qui haec ausi fuerunt ne minimum

quidem veniae sint consequuti hic vero qui adoranda et ineffabilia dogmata corrumpit, excusationem habiturus est, et veniam consequetur? Non potest hoc fieri, non potest inquam. (Comment. in cap. I. Epist. ad Galat. n. 6.)

560. Fu sempre inalterabil costume di tutti i corrompitori della dottrina di Gesu Cristo, e dei sedutdottri del popolo coprire la reità di loro massime con. tro il vangelo sotto il pretesto della pubblica felicità, sotto lo zelo di difendere i diritti dei principi del secolo, e sotto l' impegno di procurare la pace tra il sacerdozio, e l'impero. Ma la provvidenza di Dio che veglia incessantemente alla nostra conservazione e al nostro bene, ha disposto che molti fra cotesti scrittori si tolgan la maschera finalmente e parlino alla scoperta, mostrandosi i nemici egualmente e della ecclesiastica e della civil" potestà, per scuotere ogni freno, e dare sfogo alle loro passioni. Non sarà dunque temerario giudizio se per lupi si riconoscano non quelli solo che parlano chiaramente contro qualunque sia potestà, ma quelli altresi che tuttora si studiano ricoprirsi col manto di agnello. Il S. martire Ignazio faceva avvertiti i cristiani fin dal primo secolo a guardarsi bene dalle insidiose dottrine di questi seduttori, e dai morsi avvelenati di questi cani arrabiati: Solent enim nonnulli dolo malo nomen (di zelo per la felicità dell' uman genere, e di amor per la pace, pei diritti dell' uomo) circumferre; sed patrant quaedam indigna Deo, quos oportet vos ut feras evitare. Sunt enim canes rapidi clam mor dentes,

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