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Il primato fu dato da Gesù Cristo a S. Pietro quando, col dare a lui solo, e a parte l'Episcopato universale, lo fece capo, principe, e pastore degli apostoli, di tutta la Chiesa: Allora non era per anco fondata particolar Chiesa veruna, nè la gerosolimitana, nè l' antiochena, nè la romana, nè altra al mondo. Il primato dunque non poteva darsi a quelle sedi nè a quelle chiese che per anco non esistevano. Dunque il primato è inerente alla persona stessa di S. Pietro, e ai successori di lui.

101. Che cosa è la Chiesa? è un popolo unito, e regolato dal suo sacerdote, una greggia condotta dal suo pastore. Ecclesia est dice S. Cipriano, Plebs Sacerdoti suo coadunata, et Pastori suo Grex adhaerens. Altrove dice, che Ecclesia est in Episcopo, et super Episcopos constituitur. E senza sacerdote, cioè senza vescovo non vi è Chiesa, dice S. Girolamo, Ecclesia non est, quae non habet Sacerdotes (Dial. advers. Lucifer. num. 21.). E prima di lui aveva detto S. Ignazio martire: Sine ipsis, cioè senza vescovi, preti, e ministri ecclesia non vocatur (Epist. ad Trallian. ap. Cotelirium PP. apostol. ). Dunque quando si dice Chiesa Romana, e si parla di primato come ad essa competente, non si può intendere che ad essa competa se non per ragione della Papa. Non è la Chiesa che comunichi il primato al Papa, ma il Papa lo comunica alla Chiesa. In fatti in quei sette anni nei quali prima di venire a Roma fu S. Pietro vescovo particolare di Antiochia, la Chiesa Antiochena era la primaziale. Se il primato com

persona

del

petesse alla Chiesa, S. Pietro non avrebbe potuto trasferirlo a Roma, e la Chiesa d'Antiochia sarebbe restata sempre col primato. Dicasi lo stesso per il lungo tempo, nel quale i Papi risederono in Avignone. A niuno mai è venuto il capriccio di considerare la Chiesa di Avignone come primaziale. E quando i Papi viaggiando, o fuggendo le persecuzioni si sono fermati ora in questa città, ora in quella, tutto il mondo ha considerato il primato, per così dire, ambulante con loro. È dunque una strana idea quella de' nostri avversari, e contraria al senso comune di tutti gli uomini.

102. Vale lo stesso raziocinio per la sede. S. Leone tratta ivi dell' empio Dioscoro giustamente deposto dalla sede di Alessandria per le sue iniquità. Volevasi nel concilio calcedonese privilegiare la sede di Constantinopoli col farla prima sede dopo la romana, e così anteporla alle patriarcali sedi di Alessandria e di Antiochia. Si oppose a questa novità S. Leone con petto forte, e disse che per li demeriti di un empio vescovo non debbono le sedi perdere quelle prerogative, che legittimamente ad esse competono. Ma queste prerogative non competono alle sedi immediatamente per loro stesse; ma competono per ragione del loro fondatore, o per concessione fatta alla persona dei sedenti da chi ne ha la potestà di farlo. Perciò avendo la sede di Alessandria, e di Antiochia ricevuto dalla di S. Pietro fondatore di esse il seconpersona do, e terzo posto di onore, e di autorità patriarcale da passare nei vescovi successori, non è giusto, dice

S. Leone, che i loro successori perdano le loro prerogative per li demeriti e l'empietà di un loro predecessore; giacchè altro sono le Sedi, altro i sedenti, e se un sedente prevarica nel suo officio, e si dà in preda all' empietà, le sedi certamente non comunicano nelle sceleratezze di lui, e non partecipano nelle sue colpe, onde meritino quel trattamento che a lui si deve.

103. Il linguaggio comune quando vuole esprimere le prerogative competenti al capo di un regno, di un principato, di una famiglia ec; suole attribuire queste prerogative al regno stesso, al principato, e alla famiglia, per esprimere unicamente la perpetuità di tali prerogative che passano successivamente alla persona dei capi un dopo l' altro. Le persone muojono; più durevole e stabile è il regno ec.; e perciò per indicare la stabilità successiva, si assume nominando quella cosa che gode stabilità tale dalle prerogative.

104. I nostri padri non hanno avuto mai in testa le strane idee coniate dai nostri avversari. Nella lettera sinodale del concilio di Sardica, parlando quei padri col Papa S. Giulio I. e rendendogli ragione dei motivi di riferire a lui le cose fatte in concilio, dicono: Hoc enim optimum, et valde congruentissimum esse videbitur, si ad Caput, id est ad Petri Apostoli Sedem de singulis quibusque provinciis, Domini referant Sacerdotes. Le cose non si riferiscono mai alla sede materiale inanimata, ma al sedente capace d' intenderle e di esaminarle. Pochi anni EPISC. T. I.

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appresso il Papa S. Siricio nella lettera ad Imerio di Tarragona circa i quesiti fatti alla sua persona, dice: Dilectio tua Apostolicam Sedem consulendam credit. La sede apostolica non intende i dubbi che le si propongono, e non risponde parola. Evidentemente per sede apostolica i padri di Sardica intendono il Papa S. Giulio sedente, e S. Siricio intende se stesso. Chiarissimamente esprime questa intelligenza S. Innocenzo I. nella lettera a Felice di Nocera : Omnia quae possunt recipere dubitationem, ad Nos... referres, ut consulta videlicet sede apostolica, etc. Altre autorità si potranno vedere nell' Appendice I.

ARTICOLO IV.

Se il primato possa da Roma trasferirsi in
altra Città.

105. Una tesi sostenuta e stampata in Pavia nel 1787.

asserisce, che il primato pontificio si può trasferire da Roma in qualunque altra città: Episcopatui romano non ita annexum esse dicimus primatum, ut Ecclesia illum in aliam quamcumque cathedram transferre non possit. Sarebbe egli temerario, se si pensasse che certi scrittori abbiano la mira di attribuire il primato al vescovo d' Utrecht? I lettori ne siano giudici. La loro ragione è perchè l'unione del primato col vescovado particolare di Roma non è d' istituzione di Gesù Cristo, ma dipende da un fatto pu

ramente umano cioè dal fatto di S. Pietro, che deposto il vescovato di Antiochia, assunse il particolar vescovado di Roma. Ma certa cosa è che poteva assumerlo in qualunque altra Chiesa fondata da lui, o da alcun altro degli apostoli. Or ciò che potè fare S. Pietro allora, potrà fare anche la Chiesa adesso tempi futuri, se lo stimerà opportuno.

o nei

106. Questa, ragione vera nel suo principio, è falsa nella sua conseguenza. Il primato è inerente alla persona di S. Pietro, come già si è dimostrato. Prescindendo ora da comando, o ispirazione divina, che noi non sappiamo, S. Pietro poteva certamente annettere il primato a qualunque Chiesa particolare, a qualunque sede fosse a lui piaciuto. Egli lo ha annesso effettivamente alla sede di Roma, e in questa sede particolare egli è morto. Or non può più essere successore di S. Pietro se non chi gli sarà successore nella sede e vescovado particolare di Roma. Niun vescovo, niun patriarca succede a S. Pietro, se non il vescovo di Roma e questo vescovo non ha il primato sopra tutte le chiese, se non in qualità di successor di S. Pietro. Dunque dopo la morte di S. Pietro il primato resta talmente affisso e inerente al vescovado particolare di Roma, che non si può trasferire più da qualunque potestà sulla terra ad altra Chiesa.

107. Questo raziocinio è così dimostrativo, che non teme i sottili pensamenti dei nostri avversari. E' vero che la traslazione del primato d'Antiochia a Roma è un fatto umano; ma la fissazione inalterabile del medesimo primato è un fatto divino. Dio volle che S,

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