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Evviva, evviva gridino

La terra, il Ciel, l'Oceano,
Ed in eterno s'odano
Tai gridi replicar.

Gloria Patri.

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O Trino indivisibile
Uno, ma in tre distinto
Distinto sì, ma semplice,
Non misto, e non discinto,
Padre, Figliuolo, e Spirito
D' immensa ugual bontà;
A Te, gran Dio, si rendano
Tributi ognor di gloria
Finchè nel Cielo immobile
Sarà la Eternità.

SALMO LXXII.

Nel comporre Davide questo Salmo venne con esso a proporsi la difficile quistione, perchè Iddio permette che in questo Mondo spesso siano i malvagi prosperati, e cl.e i giusti siano afflitti, conculcati dai ribaldi; dal che poi siegue che gli empj traggono la conseguenza o di essere Iddio ingiusto, ovvero di non

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prendersi cura delle umane cose. Egli stesso però ne risolve la quistione col far conoscere che il Signore tutto ciò che opera e permette, è per vantaggio, merito e gloria di coloro, i quali hanΠΟ un cuore retto e puro; ed è perciò che non cessa di essere sempre Santo e giusto. Conchiude il Re Profeta questo Salmo con inculcare a ciascuno il salutar consiglio di chinare la fronte agli alti impercettibili arcani di un Dio buono giusto, e perfetto in tutte le Sovrane sue disposizioni.

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Quanto buono sei coi buoni
O Dio grande d'Israele !
Quante grazie, quanti doni
Su di ogni alma a te fedele
Spargi ognor tu a larga mano!
Nè a te mai ricorre invano
Chi sincero ha in petto il cor.
Par talvolta le mie piante
Di virtù nel bel cammino

Vacillare ad ogn' istante

1.

Quam bonus Israel Deus his, qui

recto sunt corde !

lo mi sento, e son vicino
A smarrire il buon sentiero
E a cader qual prigioniero
Nell' inganno e nell' error.

2.

Io di zelo, ah! sì il confesso,
Ardo allor che l'empio veggio
Tutto gonfio di se stesso
Star qui assiso in alto seggio,
Prosperato dalla sorte,
Come se la stessa morte
Lo dovesse rispettar.
Fato avverso mai non giunge
A colpirlo ne' perigli,
Mai flagello non lo punge,
Come se di Adam tra' figli
Ei mortal non fosse nato,
Nè tra' stenti condannato
La sua vita qui a menar.

Mei autem pene moti sunt pedes: pene effusi sunt gressus mei.

2.

Quia zelavi super iniquos, pacem peecatorum videns.

Quia non est respectus morti eorum: et firmamentum in plaga eorum.

3.

Or qual fia stupore intanto
Se ognor veggansi i malvagi
Orgogliosi darsi il vanto

Di schernir chi tra i disagi

Sta in un mar di affanni assorto,
Nè ritrova chi conforto

Porga al grave suo martir?
Il maligno di lor cuore

Tutto immerso e tutto involto
Nel vil fango dell' errore,
È qual spirto, che sepolto
In infermo corpo giace,
Che di agir non è capace,
E vicino è già a perir.

4.

Quindi avvien che sono l'opre
Parto reo di un cuor corrotto

3.

et

In labore hominum non sunt cum hominibus non flagellabuntur. Ideo tenuit eos superbia: operti sunt iniquitate, et impietate sua.

Prodiit quasi ex adipe iniquitas eorum: transierunt in affectum cordis. 4.

Cogitaverunt, et locuti sunt nequitiam: iniquitatem in excelso locuti sunt.

E la lingua poi ne scopre
Con un semplice suo motto,
Qual pestifero veleno
Alimentan essi in seno,
Qual fierezza ed empietà.
Con accenti maledetti

Fanno spesso insulti al Cielo,
Goi sagrileghi lor detti
Di modestia il casto velo
Scindon essi, e calpestando
Van col piede lor nefando
La giustizia e l'onestà.

5.

Ma deh! quanti, o Dio, deh! quanti,
Che a te prestano credenza
Son talor pur titubanti

Col dar fede all' apparenza;
E dicendo van quei folli;
Che fa Dio su gli alti colli?
Neghittoso Ei stassi in Ciel ?
e ben Ei scorge

S' Ei ben vede, e ben Ei

De' ribaldi la fortuna

Che dovizie lor qui porge,

Posuerunt in Caelum os suum: et

lingua eorum transivit in terra.

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Ideo convertetur populus meus hic: et dies plent invenientur in eis.\.

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