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Contempla in visione esempli d'ira punita. Sempre queste visioni son distinte in due parti: la bellezza della virtù, la pena del vizio: ambedue considerazioni necessarie al pentimento. Ma prima si ferma il P. nella bellezza della virtù, poichè da questa propriamente viene all' animo l'orrore del male. Nel giro della superbia, prima Maria, poi Lucifero; dell' invidia, prima Maria, poi Caino: dell'ira, prima Maria, poi Amano. Sempre il primo esempio Maria. Nel giro della superbia, sculture; dell' invidia, voci; dell'ira, visioni. Or entrano nell'accidia. E Virg. spiega come l'amore o troppo di picciol bene, o poco di bene grande, cagiona i vizii; come in ogni ente brutto o ragionevole, è amore.

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Nota le terzine 1, 2, 3, 6, 7, 9, 10, 12, 14, 15, 17, 20, 24, 29, 31, 34, 35, 42, 46.

I.

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Ricorditi,

Licorditi, lettor, se mai nell' alpe
Ti colse nebbia per la qual vedessi
Non altrimenti che per pelle talpe;
Come quando i vapori umidi e spessi
A diradar cominciansi, la spera
Del sol debilemente entra per essi;
E fia la tua immagine leggiera

In giugnere a veder com' io rividi
Lo sole in pria, che già nel corcare era.
Sì pareggiando i miei co' passi fidi

ALPE. De'suoi viaggi nell' Alpe son varii cenni nel Poema (Inf., XII, XVI, XVIII ed altrove). PELLE. Credettero gli antichi coperto d'una pellicola l'occhio della talpa (Arist., Hist. an., I, 9): ora si crede quella pellicola non sia che la cornea. - TALPE. Singolare, non manca d'esempi.

SPERA. Per raggio, è nelle R. antiche (spera d'un lume) e nell'uso toscano. IMMAGINE. Traduce alla lettera l'idea de' Greci. Coм'. Tanto era fitta la nebbia del monte, e tanto debile ivi entro la luce.

PAREGGIANDO. Virg.: Sequitur... non passibus aequis. - FIDI. C. III: Fida

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II.

Del mio maestro, usci' fuor di tal nube
A' raggi morti già nei bassi lidi.

O immaginativa, che ne rube

Talvolta sì di fuor ch' uom non s' accorge
Perchè d' intorno suonin mille tube,

Chi move te se 'l senso non ti porge?
Moveti lume che nel ciel s' informa,
Per sè o per voler che giù lo scorge.

Dell' empiezza di lei che mutò forma
Nell' uccel che a cantar più si diletta,
Nell' immagine mia apparve l'orma:

E qui fu la mia mente sì ristretta
Dentro da sè, che di fuor non venia
Cosa che fosse ancor da lei recetta.

Poi piovve dentro all' alta fantasia
Un crocifisso dispettoso e fiero
Nella sua vista; e cotal si moria.

Intorno ad esso era 'l grande Assuero,
Ester sua sposa, e il giusto Mardocheo,
Che fu al dire e al far così intero.

E come questa immagine rompeo
Sè per sè stessa, a guisa d'una bulla
Cui manca l'acqua sotto qual si feo;

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compagna. C. VIII: Fidate spalle.

MORTI (c. XV). Il sole cadente non illu

...

minava che il monte. Purg., VIII: Il giorno che si more. RUBE. Alle cose di fuori (c. IV, 2).

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SE. Per naturale influsso de'cieli. VOLER. Le imagini, dice, vengono alla mente o dal senso o da Dio. Se da Dio, o per grazia gratuita, o per merito, od umano volere che a sè la trae.

LEI. (Ov., Met., VI; c. IX). Filomela violata da Teseo suo cognato, uccide il figlio di lui, e glielo dà a mangiare: mutasi in usignuolo. Altri mutano in usignuolo Progne, Filomela in rondine: ma Probo (ad VI Ecl. Virg.), Libanio (Exc. graec. soph., Narr. 12), Strabone (Nat. com. myth., VII, 10) fanno mutata in usignuolo Filomela non Progne.

RISTRETTA. Purg., III: La mente mia che 'n prima era ristretta, Lo 'ntento rallargò.

ALTA. V. Nuova: Fu si forte la fantasia che mi mostrò questa donna. Par., XXXIII: All'alta fantasia qui mancò possa. Ar., XIV: Or l'alta fantasia, ch'un pensier solo Non vuol ch' io segua.— CROCIFISSO. Amano.

ASSUERO (Lib. Esther, VII).

SOTTO. Senza l'articolo. Ha un esempio nell' Ameto.

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Surse in mia visione una fanciulla
Piangendo forte, e diceva: o regina,
Perchè per ira hai voluto esser nulla?
Ancisa t' hai per non perder Lavina:
Or m' hai perduta. Io sono essa, che lutto,
Madre, alla tua pria ch' all' altrui ruina.
Come si frange il sonno ove di butto
Nova luce percote 'l viso chiuso,
Che fratto guizza pria che muoia tutto;
Così l'immaginar mio cadde giuso
Tosto che 'l lume il volto mi percosse
Maggiore assai che quel ch'è nostr' uso.

I' mi volgea per vedere ov' io fosse,
Quand' una voce disse: qui si monta
Che da ogni altro intento mi rimosse.
E fece la mia voglia tanto pronta
Di riguardar chi era che parlava,
Che mai non posa se non si raffronta.
Ma come al sol che nostra vista grava,

E per soverchio sua figura vela,
Così la mia virtù quivi mancava.

Questi è divino spirito che ne la.
Via d'andar su ne drizza senza prego,
E col suo lume sè medesmo cela.

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SURSE. Apparve l'orma: poi, piovve: poi, surse.- · FANCIULLA. Lavinia, piangente la morte d' Amata sua madre, impiccatasi per ira delle vittorie d'Enea. Dante nella lettera ad Arrigo, di Firenze parlando: Questa è quell' Amata impaziente, la quale,rifiutato il fatato matrimonio, non temè di prendere quello genero il quale i fati negavano; ma finalmente a battaglia il chiamò; ed alla fine mal ardita, pagando il debito, con un laccio s'impiccò. — NULLA? Sen.: Quid est mors, nisi non esse? Non però che il P. credesse l'anima mortale col corpo: ma una pagana è che parla.

LAVINA. La nomina, Inf., IV.

ESSA. Ego ipsa. Conv. (I, 3): Il mio scritto che quasi commento dire si può ... esso per sè sia forse in parte un poco duro.- LUTTO. Ep. Sen.: Senza piangere e senza luttare. Amata che Turno, da Amata creduto già morto (Aen., XII).

PRIA. Mori prima

GUIZZA. Virg. dice del sonno cominciante, che serpit (II, 269). Dante del sonno troncato, che guizza. Simile comparazione nel XXVI, Par.

RAFFRONTA. Coll'oggetto del quale s'invoglia. Petr.: E indarno vive, E seco in terra mai non si raffronta.

VELA. Di simili comparazioni, vedremo nel Par. parecchie.

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Si fa con noi come l' uom si fa sego;
Chè quale aspetta prego e l'uopo vede,
Malignamente già si mette al nego.

Or accordiamo a tanto invito il piede;
Procacciam di salir pria che s' abbui:
Chè poi non si poría se 'l dì non riede.
Così disse 'l mio duca; ed io con lui
Volgemmo i nostri passi ad una scala.
E tosto ch' io al primo grado fui,

Sentími presso quasi un mover d'ala
E ventarmi nel volto, e dir: beati
Pacifici che son senz' ira mala!

Già eran sopra noi tanto levati
Gli ultimi raggi che la notte segue,
Che le stelle apparivan da più lati.

O virtù mia perchè si ti dilegue?
Fra me stesso dicea, che mi sentiva
La possa delle gambe posta in tregue.
Noi eravamo ove più non saliva

La scala su, ed eravamo affissi

Pur come nave ch' alla piaggia arriva.
Ed io attesi un poco s' io udissi
Alcuna cosa nel novo girone;

Poi mi rivolsi al mio maestro e dissi:

Dolce mio padre, di' quale offensione
Si purga qui nel giro dove semo?

SEGO. L'uomo per far cosa grata a sè, non aspetta. Sego per seco usa in una canz. - NEGO. Albertano: Termine a termine aggiungere a colui che prega, è a scaltrimento di negare. Più bella la sentenza di Dante; ed è tolta da Sen. (Ben., II, 1): Tarde velle nolentis est: qui distulit diu, noluit. Conv. (I, 8): Puotesi la pronta liberalità in tre cose notare : la prima è dare a molti; la seconda è dare utili cose; la terza è sanza essere domandato il dono,dare quello... Il domando è non virtù ma mercatanzia: perocchè quello ricevitore compera, tutto che il datore non venda. Perchè, dice Seneca, che nulla cosa più cara si compera che quella dove i preghi si spendono. Dante in una canz.: D'ogni mercè par messo al niego.

PORÍA (c. VII, 17).

BEATI. Matth., V: Beati pacifici, quoniam filii Dei vocabuntur. - MALA! Dice per distinguerla dalla buona. E a Dio dirà (c. XX): Fa dolce l' ira tua nel tuo segreto. Ps. IV: Irascimini, et nolite peccare.

LEVATI. Gli ultimi raggi non percuotono la terra, ma l'aria.

Tomo II.

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Se i piè si stanno, non stea tuo sermone.
Ed egli a me l'amor del bene, scemo
Di suo dover, quiritta si ristora;
Qui si ribatte 'I mal tardato remo.

Ma perchè più aperto intendi ancora,
Volgi la mente a me, e prenderai
Alcun buon frutto di nostra dimora.
Nè creator nè creatura mai,
Cominciò ei, figliuol, fu senza amore
O naturale o d'animo: e tu 'l sai.

Lo natural fu sempre senza errore;
Ma l'altro puote errar per male obbietto,
O per troppo o per poco di vigore.

Mentre ch' egli è nel primo ben diretto,

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AMOR. L'accidia è difetto d'amore, d'amorosa sollecitudine. NATURALE. Tra l'uomo e il bene, il corpo e l'anima, Dio e l'uomo. Amore a Dante è la stessa attrazione de' corpi (Par., I). Così lo chiama Arist. Però dice: tu'l sai, dall' Etica del filosofo. Conv. (1. III, c. 3): È da sapere che ciascuna cosa ha 'l suo speciale amore. Altrove: Della divina bontà in noi seminata e infusa dal principio della nostra generazione, nasce un rampollo che li Greci chiamano oppv, cioè appetito d'animo naturale. 32. ALTRO. L'appetitivo, che ha la libertà per sua guida.

MALE. Cattivo. Cavalca: Male amore. Ott. (II, 150): L'amore poco del bene cade dalla accidia; e l'amore del piccolo bene disordinato tiene le sue radici nel peccato della lussuria, gola, ed avarizia; perocchè li piccoli beni amare si possono quanto alla signoria d'avere d'essi, o quanto alla possessione, o quanto all'uso. Nel primo modo ama l' avaro, nel secondo il goloso, o lussurioso. L'amore ch' è disordinato, perocch' è amore di male, pare che si possa distinguere in amore del proprio male, ed in amore dell' altrui male: ma perocchè niuno ama il proprio male, in quanto elli è male, ma in quanto elli stima che quello sia bene del corpo, però è solamente d' altrui male: ha radice nelli tre vizii,cioè superbia, ira, invidia. Diversificansi questi vizii: per questo, ch'è nel peccato della superbia, è amore del proprio bene con altrui male ; ama il superbo la esaltazione di sè, e l'abbassamento del prossimo; ma nel peccato dell' ira, e dell' invidia è amore dell' altrui male si certamente. Ma in questo paiono diversificarsi questi due vizii, ira ed invidia, perocchè nel peccato dell' ira l'amore dell' altrui male pare che nasca del male altrui. Colui che si adira contro alcuno, però li vuole male, perocchè da lui male ricevette... Nel peccato della invidia, l'amore dell' altrui male nasce da propria malizia cioè dalla superbia lo invidioso, a questo vuole male altrui, perchè non sieno pari a lui. Onde il peccato della invidia comunica a materia col peccato dell' ira; ma l'origine riceve dal peccato della superbia... Superbia, ira, invidia, rendono l'amore disordinato verso il prossimo... lussuria, gola, avarizia, accidia, rendono disordinato amore a se, e verso se,

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