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Quando le gambe mi furon sì tolte.
Ed ei se tu avessi cento larve
Sovra la faccia, non mi sarien chiuse
Le tue cogitazion quantunque parve.

Ciò che vedesti fu perchè non scuse
D'aprir lo core all' acque della pace,
Che dall' eterno fonte son diffuse.

Non dimandai: che hai, per quel che face
Chi guarda pur con l'occhio che non vede
Quando disanimato il corpo giace;

Ma dimandai per darti forza al piede.
Così frugar conviene i pigri lenti
Ad usar lor vigilia quando riede.

Noi andavam per lo vespero attenti
Oltre quanto potea l'occhio allungarsi,
Contra i raggi serótini e lucenti.

Ed ecco a poco a poco un fummo farsi
Verso di noi, come la notte oscuro;
Nè da quello era. loco da cansarsi.

Questo ne tolse gli occhi e l'aer puro.

TOLTE. Così diciamo: perder la mano, mezza la vita: l'uso cioè di quella parte.

LARVE. Virg. è de' saggi che non veggon pur l'opra Ma per entro i pensier miran col senno (Inf., XVI). COGITAZION. L'usa Albertano: e l'usavano prosa fin nel secolo XV (Buonaccorso, Orazioni).

ACQUE. Frase del DISANIMATO Quint. (Decl.): A' corpi, i quali il cru

in

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SCUSE. Scusare per iscusarsi, nella V. S. Girolamo. Vang. s. Giovanni.

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ОCCHIO. Del corpo.

del fuoco disanimò.

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FRUGAR. C. III: Al monte ove ragion ne fruga. —PIGRI. Simile, quasi, pleonasmo è in Albertano. Per freddo si fanno pigri e lenti. - VIGILIA. A Scuoter del sonno uomo appena svegliato, giova parlargli. - RIEDE. L'ora dello stare desti.

PER. In principio: I raggi ne ferian per mezzo 'l naso.

FUMMO. Job., XVII: Caligavit ab indignatione oculus meus. Psalm.: Turbatus est a furore oculus meus. Del fuoco dell' ira esce fumo; e toglie il vedere dell'ira gli effetti. Caton: Ira animum impedit ne possit cernere verum. — CANSARSI. IS. (XIV, 31): Ab aquilone fumus veniet, et non est qui effuget agmen ejus.

...

AER. Virg. Eripiunt... nubes coelumque diemque Teucrorum ex oculis.

:

CANTO XVI.

ARGOMENTO.

Vanno pel fumo: sentono cantare Agnus Dei. Gľiracondi si raccomandano al Mansueto. Rincontrano un uom di corte, ma probo, che si lamenta de' tempi mutati. Il P. gliene domanda la causa, e finge di credere sia l'influenza degli astri. Marco gl'insegna ch'ell'è il mal governo temporale de' papi. Piange la divisa Lombardia: loda tre vecchi magnanimi, e va.

La filosofia, la politica, la religione, tengono il più di questo canto: il principio e la fine son poesia. Le allusioni ad Aristotele e agli autori ecclesiastici son parecchie: ed è qui il germe del libro della Monarchia. L'accostarsi e il partirsi di Marco rammenta il colloquio di Brunetto nel XV dell' Inferno.

Nota le terzine 3 alla 7; la 12, 17, 20, 24, 26, 29, 30, 31, 38, 40, 41; la 45, alla fine.

I.

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Buio d'inferno, e di notte privata

D'ogni pianeta sotto pover cielo,
Quant' esser può di nuvol tenebrata,
Non fece al viso mai sì grosso velo
Come quel fummo ch' ivi ci coperse,
Nè a sentir di così aspro pelo.

Che l'occhio stare aperto non sofferse:
Onde la scorta mia saputa e fida

Mi s'accostò e l'omero m' offerse.

Sì come cieco va dietro a sua guida
Per non smarrirsi e per non dar di cozzo

In cosa che 'l molesti o forse ancida,

1.

POVER. Tasso: Nè rimaner all'orba notte alcuna, Sotto povero ciel, luce di luna. Ar., XV: Pover di sole.

2. GROSSO. Inf., XXXI: L'aer grossa e scura. ASPRO. Inf., IX: Fummo α

cerbo.

3.

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SCORTA. La ragione ci guida tra 'l fumo dell'ira, e d'ogni tenebroso affetto.

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II.

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M' andava io per I' aere amaro e sozzo,
Ascoltando 'l mio duca che diceva

Pur: guarda che da me tu non sie mozzo.
I' sentia voci, e ciascuna pareva
Pregar per pace e per misericordia
L'agnel di Dio che le peccata leva.

Pure agnus Dei eran le loro esordia.
Una parola era in tutti e un modo,
Sì che parea tra esse ogni concordia.

Quei sono spirti, maestro, ch'i' odo?
Diss' io: ed egli a me: tu vero apprendi:
E d'iracondia van solvendo 'l nodo.

Or tu chi se' che 'l nostro fummo fendi,
E di noi parli pur come se túe
Partissi ancor lo tempo per calendi?
Così per una voce detto fue;
Onde 'l maestro mio disse: rispondi;
E dimanda se quinci si va súe.

Ed io: o creatura che ti mondi
Per tornar bella a Colui che ti fece,
Maraviglia udirai se mi secondi.

I'ti seguiterò quanto mi lece,
Rispose: e se veder fummo non lascia,
L'udir ci terrà giunti in quella vece.

Allora incominciai: con quella fascia
Che la morte dissolve men vo suso:
E venni qui per la 'nfernale ambascia.

E se Dio m' ha in sua grazia richiuso
Tanto ch'e' vuol ch'io veggia la sua corte
Per modo tutto fuor del moderno uso,

Non mi celar chi fosti anzi la morte,
Ma dilmi; e dimmi s' io vo bene al varco;

5. AMARO. Virg., Aen.: Fumoque . amaro.

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12.

...

AGNEL. Jo., I: Agnus Dei... qui tollit peccatum mundi. Queste parole applica il P. profanamente altrove ad Enrico.

FENDI. Virg.: Findit... arva. CALENDI? Anco in prosa; Crescenz. (II, 13): Come se vivessi nel tempo, non nell' eternità.

COLUI. Albertano: Colui che 'l fece. Eccl. (VII, 32): Dilige eum,

qui te fe

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E tue parole fien le nostre scorte.

Lombardo fui, e fui chiamato Marco,
Del mondo seppi: e quel valore amai
Al quale ha or ciascun disteso l'arco.
Per montar su, dirittamente vai.
Così rispose; e soggiunse: io ti prego
Che per me preghi quando su sarai.
Ed io a lui: per fede mi ti lego
Di far ciò che mi chiedi. Ma io scoppio
Dentro a un dubbio s'i' non me ne spiego.
Prima era scempio, e ora è fatto doppio
Nella sentenzia tua, che mi fa certo
Qui e altrove quello ov' io l'accoppio.

Lo mondo è ben così tutto diserto
D'ogni virtute, come tu mi suone,
E di malizia gravido e coverto.

Ma prego che m' additi la cagione,
Sì ch' io la vegga e ch' io la mostri altrui;
Che nel cielo uno, ed un quaggiù la pone.
Alto sospir che duolo strinse in hui,
Mise fuor prima; e poi cominciò: frate,
Lo mondo è cieco, e tu vien' ben da lui.
Voi che vivete, ogni cagion recate

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MARCO. Uom di corte e probissimo lo chiama Pietro. Novellino, XLIV: Fue molto di corte, e savio molto ... più che uom di suo mestiero. Altri lo fa nobile veneziano, amico al P., caro ai signori di Lombardía, però detto Lombardo. Il Bocc. lo fa di ca Lombardi di Vinegia. L'Ott.: Quasi tutto ciò che guadagnava, dispensava in limosine ... Usò a Parigi, ed in fino ch'egli ebbe delle sue cose, fu pregiato in arme ed in cortesia; poi s' appoggiò a' maggiori di sè, ed onoratamente visse, e morì. Bene è scelto adunque a dannare l'avarizia de' preti. ARCO. Rammenta le parole di Guglielmo Borsiere ingiuriose ai nobili del tempo nuovo (Inf., XVI).

Su. Nel cielo (terz. 14).

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LEGO. Caro (En., IX, 455-6): Mi ti lego Per fede a tutto ciò... SCEMPIO. Guido nel XIV gli disse: Brullo del ben... ripieno ... di SENTENZIA. Conv. (I, 10): Manifestare la conceputa sentenzia. 20. COVERTO. Eccl., XXXVII: Cooperire aridam malitia, et dolositate.

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CIECO. Latt., VII: Nulla est humana sapientia, si per se ad notionem veri scientiamque nitatur.

RECATE. Tasso (c. II): Suso a Macon recar mi giova Il miracol dell' opra.

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Pur suso al cielo, sì come se tutto
Movesse seco di necessitate.

Se così fosse, in voi fora distrutto
Libero arbitrio, e non fora giustizia
Per ben letizia e per male aver lutto.
Lo cielo i vostri movimenti inizia:
Non dico tutti; ma, posto ch' io 'l dica,
Lume v'è dato a bene e a inalizia,
E libero voler, che, se fatica
Nelle prime battaglie del ciel dura,
Poi vince tutto se ben si notrica.

A maggior forza e a miglior natura
Liberi soggiacete: e quella cria

La mente in voi, che 'l ciel non ha in sua cura.
Però se'l mondo presente disvia,

In voi è la cagione, in voi si cheggia;
Ed io te ne sarò or vera spia.

Esce di mano a lui che la vagheggia
Prima che sia, a guisa di fanciulla

Eunapio: Πορφυρίου κλέος εις Πλωντῖνον... ἀνέφερεν. -- CIELO. Gli scolastici: Astra influunt sed non cogunt. S. Tom. (contra Gentes, 1. III): Corpora coelestia non sunt caussa voluntatum nostrarum sive nostrarum electionum. Da'cieli, dice nella Som. (II, 3, qu. 115), non viene necessità, ma moto. La volontà, dice Arist. nel III dell' Anima, è nell' intelligenza dell'anima stessa.

GIUSTIZIA. Tertull. (cont. Marc., II): Nec boni nec mali jure merces pensaretur ei qui aut bonus aut malus necessitate fuisset inventus, non voluntate. Boet. (V, 2): Estne ulla nostri arbitrii libertas?.. Est, inquit. Neque enim fuerit ulla rationalis natura, quin eidem libertas adsit arbitrii. 25.

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INIZIA. Le influenze celesti, dice Dante, non tolgono la libertà: hanno un poterc però sull'essere umano. August.: Stellae super corporalia habent influere, non super voluntatem hominum. — TUTTI. Ve n'ha che vengono dall'abito pravo. LUME. L'appetito, così Pietro di Dante, il primo moto estrinseco viene dalla costellazione, la volontà dalla ragione; e viene all'atto mediante il libero arbitrio. L'appetito vien da natura.

BATTAGLIE. Vita N.: Questa battaglia (di pensieri) ch' i' aveva meco.- VINCE. L'antico: Sapiens dominabitur astra. NOTRICA. Com' esercizio della libertà.

MAGGIOR. L'anima nostra è mossa dagli Angeli; la volontà da Dio: così Pietro. August. (Civ. D., V): Illi qui sine Dei voluntate decernere opinantur sidera, quid agamus, vel quid boni habeamus, vel malorum patiamur, ab auribus hominum repellendi sunt.

SPIA. L'usa in buon senso il Vill. (VII, 74). Ar. (XVII, 66): Nè fin l' altr'ieri aver ne potè spia. Lo prova da'remoti.

ESCE (V. c. XXV; s. Tom., Sum., 2. 2., qu. 90). — PRIMA. Jer. (I, 5): Prius

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