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fezione, i figliuoli sono l'opere perfette, le figliuole significano l'operc imperfette. La quinta è, perchè nella genealogia de'giusti, Enoch è posto il settimo, in quella degli empii Enoch è posto il primo. Imperocchè i giusti sperano la loro quiete e beatitudine nella settima età, nella resurrezione, così come il Signore si riposò il settimo giorno; ma gli empii cercano di beatificarsi di qua, e di qua edificano le città, onde Enoch è interpetrato edificatio. La sesta, perchè quella de' giusti non si divide, come quella degli empii che si divide in Lamech, che prese due mogli, cosi i giusti s'uniscono tutti in carità e hanno un medesimo animo, e una medesima volontà. Non così gli impii, ma stanno sempre in discordia e sempre cercano lite, non hanno mai pace, nè con seco nẻ con altri, nè con Dio né col prossimo. La settima, perchè questa divisione fu fatta nel settimo grado, nel quale (secondo la genealogia de' giusti) fu translatato Enoch in paradiso; così nella settima età i giusti saranno translatati alla pace eterna, e gli empii in luogo di divisione e di guerra, cioè nell' inferno. L'ottava differenza è questa, che nella genealogia de'giusti sono solamente dieci; in quella degli empii sono undici, perchè gli empii sono trasgressori de' dieci comandamenti de' quali i giusti sono osservatori. La nona, in quella degli empii si pongono quelli che furno inventori dell'arte; in quella dei giusti no, perchè i giusti non si curano di cose terrene, come gli empii. La decima, quella degli empi termina per femmina, ma quella de'giusti per Noè, uomo strenuo e forte, perchè tutti gl'empii sono effemminati, ma i giusti sono virili e quieti. Onde Noè è interpetrato requies. Ora vedete adunque, fratres mei, con quanto gran mistero lo Spirito Santo descrive l'una e l'altra generazione. Per questo potete intendere quanti misterii sono negli altri luoghi della scrittura, quando in questo luogo e in questo capitolo, che non pareva che avesse midolla nessuna e pinguedine spirituale, sono nascosti tanti misterii. Dovete adunque onorare le scritture sacre, farne grande stima, e non le lasciare alla polvere. E pertanto state a udire con reverenzia, perchè in questa genealogia sono nascosti ancora molti altri misterii, che noi non sappiamo; pure quello che ci ha dato Iddio, volentieri ve lo comunicheremo e senza invidia. Ma acciò che meglio intendiate quello che noi abbiamo a dire, io vi voglio replicare la parabola di quello stolto che stava in terra e fece un cuore e fugli suggellato e posto in petto. E subito si levò su tutto allegro e giocondo, e messesi

una veste bianca, e cominciò a andare per la città come pazzo, in modo che i fanciulli si congregarono e andavangli dietro tirandogli le meluzze. Ma lui con lo scudo gagliardamente si difendeva. Dopo questo, cominciò avere fame, e andando a accattare a uscio a uscio, gli fu dato del pane e del vino e dell'altre cose. Costui vedendo congregata tanta gente, cantó una canzona, dipoi mangiato che ebbe a sufficienza, tutto il resto che gli avanzò ascose in terra. Dopo questo va a trovare uno sepulcro e distendevisi dentro e muore. Dapoi diventa cenere, e chiuso il sepulcro gli fu detto requiesces. Non vi maravigliate, che io vi parli così per parabole, perchè gli è scritto: Aperiam in parabolis os meum, et eructabo abscondita a constitutione mundi. E del Salvatore dice l'evangelista Quia sine parabolis non loquebatur ad eos. La ragione è questa, perchè così le cose divine meglio s'intendono, meglio si ritengono nella memoria, e danno maggiore delettazione agli audienti. Meglio, dico, s' intendono le cose divine, perchè gli è naturale all'uomo conoscere le cose spirituali mediante le sensibili. Meglio si ritengono nella memoria, perchè le cose sottili, meglio si ritengono ne'fantasmati grossi; onde costoro che fanno la memoria artificiale, per meglio ricordarsi di qualehe cosa, formano nell' immaginazione certe figure a certi luoghi, che facilmente poi, simili si ricordano delle cose. Causano ancora le similitudini e parabole maggior delettazione, perchè le sono più naturali. Ora state adunque a udire l'esposizione della parabola.

Dirà forse qualcuno di voi: Padre, voi ci fate disperare a dirci tante e sì belle cose della carità, e non ci pare possibile poter venire a tal grado e a tal perfezione di carità. Orsù, acciò che voi non vi disperiate, notate che la carità nella scrittura è chiamata fuoco. Il fuoco ha questa proprietà, che ciò che e'trova consuntibile e disposto a essere abbruciato, lo consuma e abbrucia. Se adunque tu poni le legne disopra quel fuoco, il fuoco ascende e va a trovare le legne per consumarle. Se tu le poni sotto il fuoco, benchè sempre naturalmente il fuoco vada all'insù, nondimanco e' seguita le legne, e a poco a poco discende giù e opera in quelle, insino a tanto che e' le consuma. Così diciamo della carità, che secondo la disposizione della parte superiore o inferiore, la sale ed iscende; e però circa questo nota, che e' sono alcuni di grande ingegno e molto atti alla contemplazione delle cose divine, i quali hanno posposto tutte le cose corporali. Quando adunque il fuoco della carità apprende tali così disposti

e di grande ingegno, subito costoro, lasciate tutte le cose corporali, sono tratti ed elevati suso a Dio, e la carità allora ascende alle cose superiori. Onde d'alcuni si legge, che la gli ha tratti in tanto, che abbandonati da' sensi e da ogni sussidio di creatura mortale, sono stati rapiti insino a vedere Iddio a faccia a faccia, come fu san Paolo e Mosè, l'anime de' quali allora erano ne' corpi e davangli solamente l'essere, e nessuna altra operazione corporale o sensibile causavano ne' corpi loro. Onde se tu avessi parlato loro in quel tempo o in quel punto non t'arebbono inteso. Se tu fossi stato loro innanzi non t'arebbono visto ; se tu gli avessi tocchi non t'arebbono sentito; se tu avessi messo alla bocca loro qualche prezioso cibo non l'arebbono gustato. E così dell' altre operazioni sensibili e corporee, perchè gli erano totalmente alienati da' sensi e assorti in quella fornace della carità divina; ma questo privilegio non è d'ognuno, ma di pochi. Pure di questi, che medesimamente sono di tal disposizione, alle volte, questa carità certi ne tira tanto su alto per il lume grande del quale gl' intelletti sono capaci, che e' si dimenticano di loro medesimi; et extasim patiuntur, cioè per eccesso di mente sono come fuori di loro, come vi dicemmo nel sermone precedente. Alcuni altri, dato che e'non abbiano quest' estasi ed eccessɔ di mente, nondimanco perchè gli hanno pure grande amore, sono ancora loro assai elevati alle cose superiori, e niente pensano di questo mondo nè della giocondità del corpo, perchè il fuoco della carità trova le legne di sopra, cioè la disposizione nella parte superiore, e però sta suso alto e non occupa la carne, se non che e' la fa quasi stupida e quasi insensibile. Altri, che non sono di tanto intelletto che sieno atti a elevarsi in contemplazione, posposte tutte queste cose corporali come i primi e li secondi, nondimeno e' sono di dolce natura, e sono mansueti e buoni. Questi, e dalla natura e da Dio, hanno sortito buona anima, cioè buona natura e facile, persuasibile, e al bene inclinata; la carità in costoro opera secondo la disposizion loro, perchè e' dà loro la contemplazione circa l'umanità di Cristo, benchè ancora insieme con la divinità; perchè, come è detto, il fuoco sempre ascende, e va all'insù, nientedimeno, perchè li trova così complessionati, produce in loro una certa dolcezza di tale contemplazione che ridonda eziandio nella carne. E in questo grado comunemente sono le donne e certi semplici, onde sono pronti alle lagrime e alla devozione; alcuni altri ne sono atti alla contem

plazione, nè sono di dolce natura, ma più presto di natura un poco duretta. Questi tali, se la carità gli apprende, la sta in mezzo, perchè la non ha legne nella parte superiore, cioè non sono atti secondo l'intelletto a contemplare. Non ha eziandio legne nella parte inferiore, cioè non sono disposti secondo la natura loro, perchè non hanno dolce natura ; e comunemente costoro sono atti alla vita attiva e a fare faccende; e benchè costoro non abbiano il fuoco della carità per via della contemplazione, non sieno di tanto intelletto che la carità possa operar in loro per modo di contemplazione nè per via di dolcezza, per la complessione contraria possono avere però tal carità per fermezza d'animo e di buono proposito, perchè quando e' si sentono fermi ne' precetti di Dio e che e' dispiace loro i peccati e confessansene diligentemente, con proposito di non ritornare più a quelli, ottimo segno. E se e' non hanno quella dolcezza spirituale e la grazia delle lagrime non si disperino, ma faccino come Asa, figliuola di Caleph, la quale essendo maritata a Otonicl, mentre che così camminavano e che la sedeva sopra l'asino, fu persuasa dal marito che la chiedesse al padre un campo che gli avea molto fertile per la comodità dell' acqua; e così fece. La cominciò a sospirare; dice Calep: che hai tu figliuola mia? lo vorrei, dice, una grazia : tu m' hai dato la terra australe arente, cioè che non ha comodità d'acqua; dammi ancora ti prego la terra irrigua; ottenne dal padre ciò che la chiese. Asa vuol dire furore, o vero furibonda. Caleph è interpretato quasi omne eor; Otoniel, signum Dei, vel respondens Deo; Asa significa l'anima nostra, la quale mentre che è in questo corpo, è subietta a molte passioni e affanni. È figliuola di Calep, cioè del Padre eterno, al quale ogni cuore è patente, cioè tutti i consigli e secreti del cuore umano sono manifesti a Dio, e lui solo è scrutatore de' cuori. È maritata a Otoniel, cioè a Cristo, il quale quanto alla divinità è il segno di Dio, cioè immagine e figura della sostanza paterna, come dice l'Apostolo, e per noi risponde al Padre, escusando le nostre negligenze e pregando per noi; e questo è quanto alla sua umanità. Del qual segno profetò Isaia dicendo: Erit radix Jesse, cioè Cristo; in signum populorum, perchè e' fu posto dal Padre eterno come un segno e un bersaglio in croce a ricevere le saette, cioè le bestemmie de' giusti. Del qual segno Isaia disotto dice: Et elevabit Dominus signum in nationes, cioè Gesù Cristo crocifisso per l'uomo lo leverà e magnificherà

il Padre tra le genti. Di questo segno profetò Simeone nell'evangelo quando tenea Gesù Cristo infante nelle braccia, dicendo: Hic positus est in signum cui a multis contradicetur. Asa, cioè l'anima, debbe sedere in sull' asino, cioè predominare al corpo e a tutti i moti irrazionali. Quest' anima vorrebbe qualche volta, qualche gusto e dolcezza di lagrime, e persuasa da Cristo Gesù che la muove a fare orazione, domandare i suoi bisogni spirituali; sospira e dice al Padre nella sua orazione: Anima mea Domine sicut terra sine aqua tibi; Signore, l' anima mia è nel cospetto tuo, come la terra senz'acqua ; io non ho gusto alcuno, io non mi sento punto mollificare e addolcire dalle lagrime della devozione; e però, Padre eterno, tu m'hai dato una terra arida, cioè, tu m'hai ben dato un'anima stabile e ferma nel buon proposito di non ti offendere; ma io ti prego, aggiugni ancora a questo la terra irrigua, cioè, dammi qualche volta qualche gusto e qualche consolazione: dammi le lagrime della devozione. E qualche volta Iddio, secondo che e' vede espediente, ci dà di questi gusti e di queste lagrime. E perchè fa questo il Signore? acciocchè nessuno si disperi, e dica: io non ho la grazia del contemplare, nè la grazia delle lagrime; io sono de' reprobi, io mi dannerò nell'inferno, perchè io veggo ch'io non debbo essere grato a Dio. Nondimeno se Dio non ti dà così di questi gusti come tu vorresti, abbi pazienza; bastiti quel buon proposito di non offendere Iddio. Ma nota per questi che sono negligenti e tepidi, che Sant'Agostino dice, che gli è difficile a credere che un vero penitente non senta de'gusti spirituali e non abbia delle lagrime; perchè così come gli è difficile a credere che uno non pianga per la morte del padre o del figliuolo, o per la perdita della roba, così è difficile a credere che uno ami Dio e non abbia li segni che di sopra abbiam posto. E che bisogna tanto escusarsi? Confessiamo d'accordo i peccati nostri; confessiamo che noi non sentiamo di questi gusti nè abbiamo la grazia delle lagrime, perchè c'viene dalla nostra tepidità, che e'non ci è amore, non ci è carità nel mondo; sed defecit gaudium cordis nostri; è mancato il gaudio e la letizia del cuor nostro, è mancato in noi Cristo Gesù, è mancato l'amore che fa giubbilare i cuori degli uomini e fagli impazzare e correre come pazzi per le città, come faceva quello stolto della parabola che vi proponemmo, come facea eziandio San Francesco; vedi s'egli era infervorato dell' amore di Gesù Cristo, che subito che Dio gli toccò il cuore, lasciò ogni cosa; vendette tutto quello

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