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NO VIMU AIMBOLIAD

B51443
In

1834
V.5-6

1

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Contiene questo Salmo una patotica divota preghiera, che porse all' Altissimo il S. Re Profeta in qualche grave circostanza di angoscia, nella quale dovette egli ritrovarsi. Con tal umile supplica l'afflitto Monarca implorava il divino ajuto, onde venir sottratto ai flagelli, da' quali vedeasi gravato. Sulle prime perciò supplicava il Signore a non tenergli celata la sua faccia, cioè a non privarlo del lume della Grazia. Passava quindi ad esporre con tal Salmo l'infelice stato di abbattimento, da cui era oppresso e nel porre in Dio tutta la confidenza esaltava la di lui misericordia, giustizia e grandezza. Immerso finalmente nella meditazione de' divini attributi, elevossi cotanto in alto col pensiero, che giungeva a scovrire i sublimi misteri della Redenzione " della gloriosa propagazione della Chiesa di Gesù Cristo, della risurrezione' de' morti, e della futura eterna vita. Può intanto questa sacra preghiera riguardarsi in generale come adatta ed opportuna a praticarsi da tutti coloro, i quali fossero afflitti da qualche spirituale,, o temporale tri bolazione. Trevi

+.. Tu che tergi, o Signor, degli afflitti Eli egri pianti, seconda i desiri Ed: accogli pietoso i sospiri,

Che ate spinge il dolente mio cor. Deh! non far, che di sdegno avvampando, Da me torci il divino tuo ciglio, Ma soccorrimi in ogni periglio, Ed ascolta i miei gemiti ognor. 2. In ogni ora, che immerso mi veggo Nell'abisso degli aspri dolori

lo t'invoco, rispondi ai clamori Che ferventi a te cerco di alzar. Deh! veloce tu aita mi appresta Che i miei di son fugaci qual vento, E qual arido tronco mi sento

Vital succo nell'ossa mancar.

་་

3. Come l'erba dal Sole percossa, Colangue l'adusto mio petto;

1. Domine exaudi orationem meam ; et clamor meus ad te veniat.

Non avertas faciem tuam a me: in quacumqne die tribulor, inclina ad me

aurem tuam,

2 In quacumque die invocavero te, velociter exaudi me.

Quia defecerunt sicut fumus dies

mei; et ossa mea sicut cremium aruerunt.

3. Percussus sum ut foenum, et a

Non mi danno più i cibi diletto, L'alimento si abborre da me. Mi han le lagrime reso consunto, E si scarno divenne il mio volto, Che qual scheletro in pelle ravvolto, Posso reggermi a stento sul piè. 4. Non così pellicano ne' boschi, Ovver nottola in antri si asconde Com'io cerco in caverne profonde Dall' umano consorzio fuggir. Ahi! che il sonno partì da quest' occhi, E qual passaro mesto e solingo

Mi abbandono a me stesso, e ramingo Porto in seno il mio fiero martir. 5. Quei, che un di mi colmavan di lodi, Quando i giorni io menava felici, Or miei sono giuati nemici

E ognun trame ad ordire mi sla.

ruit cor meum: quia oblitus sum comedere panem meum.

A voce gemitus mei adhaesit os meum carni meae.

4. Similis factus sum pellicano solitudinis: factus sum sicut nycticorax in domicilio.

Vigilavi et factus sum sicut passer solitarius in tecto

5. Tota die exprobabant mihi inimici mei: et qui laudabant me, adversum me jurabant.

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